A Seregno, nel cuore dell’alta Brianza, c’è un laboratorio particolare. Si chiama Morbido Gluten free Japanese Cheesecake e Bubble Tea ed è subito chiaro ciò che si trova in assortimento una volta entrati in negozio. «Morbido è il nuovo modo di gustare la cheesecake, soffice, cotta a vapore, senza glutine e infinitamente personalizzabile», spiega meglio Manuel Sioli, titolare del laboratorio.
Nonostante abitiamo a una manciata di km di distanza, considerando le limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria in corso, la chiacchierata tra me e Manuel è stata virtuale. Ecco qui sotto cosa mi ha raccontato.
Quando nasce Morbido e perché?
I primi input risalgono a febbraio 2018. In realtà è stata una scintilla, la classica lampadina che si illumina improvvisamente, quasi per caso. Avevo voglia di creare qualcosa di mio e ho iniziato a fare ricerche. Dopodichè sono partiti i lavori strutturali e il 28 giugno 2018 Morbido è stato inaugurato.
Quali sono le esperienze che ti hanno portato alla creazione di questo laboratorio?
La cucina mi ha sempre affascinato. Per cui a 12 anni sapevo già quello che volevo fare da grande. Dopo il diploma alberghiero e un paio di anni di gavetta a Milano, mi si è presentata l’occasione di un lavoro in un ristorante italiano a Londra. Senza esitazioni, sono partito spinto soprattutto dalla curiosità di un’esperienza all’estero. Per i seguenti 10 anni ho girato il mondo tra ristoranti stellati e hotel di lusso. Ho lavorato in Scandinavia, Medio Oriente, Caraibi, Cina, Stati Uniti. Poi sono rientrato a casa.
Quali ragionamenti ti hanno portato ad aprire un laboratorio di questo genere?
Quando sono rientrato, ho trovato la ristorazione profondamente mutata rispetto a quando ho iniziato a lavorare. Se da una parte la globalizzazione ha danneggiato tanti locali, dall’altra ha però sdoganato cucine sconosciute fino a qualche anno fa, aprendo nuovi e interessanti scenari. Per fare un esempio, quando mi sono diplomato se si diceva “hamburger” ci si riferiva esclusivamente a quelli di McDonald’s. Era sinonimo di junk food in pratica. Ora anche per i ristoranti è quasi obbligatorio averne almeno uno in carta. Un cibo tanto demonizzato è quindi riuscito a scardinare il pregiudizio in un paese noto per la cultura del mangiare bene e per la dieta mediterranea. Per cui mi sono chiesto perché non replicare lo stesso risultato con un prodotto più leggero e salutare già di base ma ugualmente goloso e inusuale. Mi è tornato alla memoria un ricordo del mio periodo a Shanghai. Avevo assaggiato una cheesecake radicalmente diversa da quella che conoscevo, più soffice, delicata e con una consistenza decisamente nuova per un occidentale. In più, era una cheescake molto versatile. Ecco che avevo trovato una base su cui portare a spasso la creatività.
Spiegaci meglio com’è la Japanese Cheescake che possiamo trovare nel tuo laboratorio.
Essendo un dolce poco zuccherato, si può sfruttare con tanti sapori. Sforniamo ogni giorno le monoporzioni lisce, per poi farcirle al momento in una quindicina di varianti, alcune sempre disponibili, altre in base al periodo, dal dolce al salato. Facciamo su ordinazione anche torte e pasticcini, lasciando così massima libertà di personalizzazione riguardo a formati e farciture, oltre che garantendo un prodotto sempre fresco. Oltre ai gusti che abbiamo in menu, accontentiamo anche chi vuole qualcosa di personalizzato. Poi ci sono i vari speciali del momento, per le feste, per le occasioni particolari o semplicemente per proporre qualcosa di nuovo.
Ma quali sono le origini della Japanese Cheescake?
Qualche anno fa i giapponesi hanno ben pensato di rivedere nella loro concezione alcune ricette occidentali. Della cheesecake hanno tenuto solo gli ingredienti, stravolgendone il dosaggio, la preparazione e la cottura, che viene fatta a vapore. Il risultato è un dolce spumoso, da mangiare col cucchiaio, ma non “pannoso”. L’impasto cresce per via delle uova, cuoce delicatamente e mantiene la sua struttura eterea per l’effetto soufflé dato dalla meringa usata nell’impasto. Una consistenza personalmente mai provata prima, piacevole e non stancante. Poi con tutte le farciture che proponiamo è difficile provare due volte lo stesso gusto!
Invece cos’è il Bubble Tea?
È un mix di 3 ingredienti: un tè freddo che viene arricchito con uno sciroppo alla frutta (nel nostro caso fatto in casa) e delle “perle” alla frutta che scoppiano tra i denti, rilasciando il succo contenuto. Come per il Morbido, anche questo viene ultimato al momento. Il bello è scegliersi la propria combinazione e gustarsi il mix che si crea mordendo le perle! È un prodotto che completa in maniera perfetta la proposta di Morbido, sia per affinità geografica che per similitudine merceologica.
Perché hai scelto di lavorare senza glutine?
Quello del senza glutine è un mercato che sicuramente dovevo prendere in considerazione prima di iniziare l’attività, così ho fatto qualche prova usando farine adatte. Il risultato è stato più che soddisfacente e, avendo tra le mani un prodotto pressoché identico a quello fatto con farine di grano, mi è sembrato logico mantenere solo la versione senza glutine anziché entrambe. Meno preparazione, meno spreco e soprattutto zero rischio di contaminazione! Non ho esperienze dirette o ravvicinate con la celiachia, ma ho visto in questi mesi quanto sia rassicurante sentirsi dire che tutto ciò che facciamo è garantito contro ogni contaminazione. Anche a livello economico evito di fare come quei furbetti che sui menu ritoccano al rialzo il prezzo dell’alternativa senza glutine.
Come scegli i tuoi fornitori? E quali sono i marchi ai quali ti affidi per le materie prime?
Ne abbiamo pochi e attentamente selezionati. Un nostro fornitore è specializzato in prodotti etnici, quindi è perfetto per quanto riguarda il bubble tea o ingredienti più ricercati. Ha sempre qualcosa di nuovo da cui prendere spunto. Nel caso del salato e quindi di affettati acquistiamo direttamente dal produttore. In generale cerchiamo sempre piccoli produttori artigianali per trovare le eccellenze.
Quali sono i feedback dei clienti?
Sia di persona sia online, abbiamo un’alta percentuale di riscontri positivi. Poter instaurare un rapporto con un cliente è indice del suo gradimento per la tua attività, non solo per il prodotto, ma per tutto l’insieme. Il fattore umano è stato fondamentale per fidelizzare una buona base di clientela, frequentatori abituali da stuzzicare costantemente, magari spoilerando qualche nuova variante in cantiere. Una cosa che apprezzo molto è quando un nuovo cliente arriva da noi “su consiglio di amici”. Anche su Google siamo ben recensiti.
A oggi qual è il bilancio dell’attività?
I primi sei mesi sono stati un continuo remare controcorrente. Lanciare un prodotto nuovo non è mai facile, figuriamoci se proprio non si ha idea di cosa sia. Ma superati i primi scogli, abbiamo continuato a navigare, a metterci energia, tempo, idee e soldi. Febbraio 2020 è stato il mese con il miglior incasso di sempre, marzo stava seguendo il trend di crescita. Ci stavamo preparando per un’estate a tutta velocità, poi…
A proposito, come avete reagito alla crisi causata dal coronavirus, quali servizi avete implementato?
Forzati alla chiusura, l’unica opzione disponibile è stato il servizio a domicilio. Questo servizio, se le condizioni resteranno immutate, continuerà almeno fino al 1° giugno. Comunque i risultati non sono paragonabili a quelli di una normale operatività. Personalmente spero che non diventi un’abitudine. Vorrebbe dire ridurre il gesto di mangiare ad un puro discorso istintivo, di fame da saziare, escludendo l’aspetto di convivialità e di piacere.
In generale cosa vedi nel post coronavirus?
Penso che nessuno sappia cosa ci si possa aspettare in futuro, c’è troppa incertezza per poter prendere decisioni definitive. Si può solo pensare a quante più variabili possibili e cercare di essere preparati ad agire al momento più adatto, in base a cosa succederà. In questa situazione nessuno può dirsi abbastanza esperto per fare previsioni, ma fatico ad immaginare gli italiani seduti a tavola, in casa, con amici o parenti e una cena consegnata da un fattorino senza che siano obbligati da un decreto. Almeno, spero non si finisca così ma ci sia la voglia di tornare a coltivare i rapporti umani e la vita sociale.